Giornalisti in classe

 “Giornalisti in classe” è un’iniziativa, a cura di Donatella Righini e in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti, che nasce all’interno del progetto “Artisti in classe” ed è finalizzata alla realizzazione di contributi scritti da parte degli studenti sui concerti e sull’esperienza dei concerti e degli incontri con i musicisti ospiti della stagione concertistica degli Amici della Musica di Firenze.

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Stagione concertistica 2023/2024

CRONACA DELL’ INTERVISTA A NELSON GOERNER

Dopo il concerto tenuto da Goerner per gli Amici della Musica di Firenze il 23 marzo scorso e dedicato al grande pianista Maurizio Pollini, scomparso proprio quel giorno, abbiamo incontrato il maestro, che, con molta naturalezza, gentilezza e disponibilità ha colloquiato con noi. Goerner parla anche italiano, ma abbiamo dovuto fargli l’intervista in inglese dato che erano presenti degli studenti francesi, nostri ospiti in Erasmus per un progetto di potenziamento della lingua inglese.
Attraverso le risposte alle nostre domande ci ha raccontato che il suo primo approccio con il pianoforte è avvenuto da bambino quando, a casa della nonna, lo suonava per gioco con i cugini. Da lì ha iniziato a studiarlo professionalmente e ne ha fatto la sua carriera, che ha avuto come trampolino di lancio la vittoria del concorso di Ginevra, quando aveva 17 anni. Questo gli ha permesso di realizzare il sogno di studiare con Maria Tipo (una delle più grandi pianiste del nostro tempo, ancora vivente a Firenze) e, naturalmente, di fare concerti in giro per il mondo. Esperienza che, ovviamente, gli ha cambiato la vita. Goerner trasmette la gioia della professione che svolge, lo ha ribadito sia dicendo che ama solo il pianoforte e non ha mai suonato nessun altro strumento, sia perché della sua carriera dice che non c’è un periodo più importante degli altri. Anche riguardo alle città in cui preferisce suonare, ha detto che non sono solo le più note che gli fanno ottenere soddisfazione, ma anche i luoghi sperduti: il suo ricordo del posto dove ha suonato è legato a come vi ha suonato.
Di contro, quando gli abbiamo chiesto se anche il figlio sia musicista, ha raccontato che, sì, ha studiato violino, ma che la carriera del musicista, vista attraverso l’esperienza del padre, non lo attira per lo stile di vita “nomade” che impone. E quanto studia un pianista del suo livello? Dipende, dice lui: se è in giro per tournée non più di quattro ore al giorno nei luoghi dove deve tenere i concerti. Se è a casa, non c’è orologio…

Classe 4 B linguistico dell’IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino

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GIORNALISTI IN CLASSE PER VADIM REPIN E NIKOLAY LUGANSKY

RECENSIONE 4 B LINGUISTICO
Si pensa che la musica classica e le nuove generazioni non siano compatibili tra loro, ma il progetto “Artisti in classe/Giornalisti in classe” – che gli Amici della Musica di Firenze organizzano per le scuole superiori – è la prova del contrario. Sabato 3 febbraio il violinista Vadim Repin e il pianista Nikolai Lugansky hanno suonato insieme nello storico Teatro della Pergola, dove noi studenti dell’Istituto “Calamandrei” di Sesto Fiorentino abbiamo avuto la possibilità di assistere al concerto e successivamente intervistare gli artisti. Nonostante i differenti gusti musicali, noi ragazzi abbiamo apprezzato il programma proposto e l’abilità d’esecuzione dei due artisti di fama internazionale.

I brani sono stati interpretati appassionatamente e in modo travolgente, amalgamando i due strumenti in maniera armonica e dosando tecnica e passione. Le note danzavano all’interno del teatro e il pubblico ha gradito talmente tanto il concerto da chiedere più volte il bis. Al termine dello spettacolo buona parte del pubblico ci ha seguiti nel saloncino “Paolo Poli” del teatro della Pergola, dove noi studenti abbiamo avuto la possibilità di intervistare le due eccellenze musicali. L’intervista si è svolta in lingua inglese e sono state poste domande riguardanti il concerto e la loro carriera a cui i musicisti hanno risposto in maniera esaustiva e mostrandosi molto disponibili verso di noi.

Matilde Degli Esposti, Pasquale Esposito, Dalia Grassi, Sofia Traversi, Erika Tacchini, Cloe Romagnoli


I due artisti hanno presentato al pubblico un programma piuttosto impegnativo. La loro musica ha abbracciato sonate più tranquille e melodiche, e altre più intense e a tratti movimentate, comunque sempre coinvolgenti, a partire dalla Sonata in sol minore L.140 di Claude Debussy, l’ultima composizione importante dell’autore francese, che rappresenta un momento di grande innovazione e con la quale i due musicisti hanno trasportato il pubblico nella vivacità astratta del brano. Della Sonata n. 3 in do minore op. 45 di Edvard Grieg e la Sonata in la maggiore di César Franck, Repin e Lugansky hanno esaltato il linguaggio espressivo, trasportando gli ascoltatori in una dimensione emotiva intensa. Il pubblico ha apprezzato con tale entusiasmo che i due artisti hanno regalato due bis: il Valse-Scherzo di Pëtr Il’ič Čajkovskij e la Polka per violino e piano di Alfred Schnittke.

Alice Metti, Giulia Cusenza, Melissa Pacini, Antonio Avadanei, Elisa Leoni, Tiziano Santoro, Daniele Lazzerini

INTERVISTA A VADIM REPIN E NIKOLAY LUGANSKY

Lei suona violini italiani prestigiosi, come li sceglie? E qual è il migliore per lei?

Noi violinisti, a differenza dei cantanti che hanno una bella voce, impieghiamo molto tempo per trovare il modello più adatto. Ovviamente i violini italiani sono quelli che preferisco suonare, come gli Stradivari e Guarneri del Gesù. Ho suonato molti violini, ma ora suono l’Amati, il padre di tutti, dato che è il più antico. Il miglior modello tuttavia per me è “Il Cannone”, un Guarneri del Gesù che è stato il violino di Niccolò Paganini.

È difficile adattarsi a un differente piano da suonare a ogni concerto?

Certamente, è difficile. C’è un’enorme differenza tra un pianista e un violinista.
 (Lugansky a Repin): tu suoni molti violini ma puoi adattarti più facilmente esercitandoti a casa o in stanza d’hotel, per settimane, forse mesi: puoi suonare fino a sentirti sicuro e in sintonia con lo strumento. Per i pianisti ogni concerto è un’esperienza diversa: noi abbiamo meno tempo per abituarci. Bisogna inoltre dire che non cambia solo il suono ma anche la parte meccanica, ogni piano è diverso, quindi è sempre una sfida.

Come vi siete conosciuti? Cosa vi ha motivato a iniziare questa collaborazione?

R: Penso che ci siamo conosciuti tramite YouTube per la prima volta.
L: No, in quel periodo non c’era nemmeno YouTube.
R: È successo tanto tempo fa!
L: YouTube è stato creato negli anni Duemila ma noi ci siamo conosciuti all’inizio degli anni Novanta.
Ci siamo conosciuti in Giappone, non abbiamo lavorato insieme, ma eravamo nello stesso Paese e siamo venuti a sapere l’uno dell’altro. Eravamo entrambi molto giovani e avevamo un tour, ma abbiamo deciso di collaborare più tardi.
R: Ricordo che successivamente vidi Nikolai suonare dal vivo per la prima volta al “Folle Journée” di Nantes, un festival organizzato in Francia diviso in tre giornate.  Tutto ebbe inizio da quel momento, sentimmo entrambi i nostri concerti dal vivo a vicenda, e l’anno dopo andammo in tour insieme per la prima volta. Stiamo dunque parlando di circa trenta anni fa.

Cosa ammirate l’uno dell’altro?
R: Ho sempre voluto avere il miglior pianista al mio fianco, per poter parlare, discutere e creare. Mi piace suonare con qualcuno bravo come me, o migliore di me e in Lugansky l’ho trovato.
L: Quando io avevo quindici anni, Repin aveva già fatto successo. La prima sorpresa quando ho iniziato a studiare con Repin è stata la sua determinazione. Ci supportiamo a vicenda durante un concerto, e se cambio qualcosa, Repin reagisce. Ammiro la determinazione e la capacità di reazione immediata di Repin.

Avete mai pensato di lasciare la vostra carriera?
R: Questo lavoro ha i suoi pro e contro. Quando siamo nati c’era l’Unione Sovietica, il sistema era molto severo e io dedicavo tutto il mio tempo allo studio della musica. Non avevamo tempo per poter pensare ad un’alternativa lavorativa.
L: Molti musicisti studiano tutta la vita per arrivare ad un certo livello, come per esempio il direttore d’orchestra. Per dirigere serve esperienza. Con lo strumento è molto più difficile. Ho provato a dirigere ma probabilmente era troppo tardi. Io ogni tanto insegno, ma non è comparabile alle emozioni che provo mentre suono.

Siete interessati ad altri generi musicali oltre alla musica classica?

R: Il rap. In Russia esiste una specie di rap, chiamato Chastushki, che consiste non proprio nel cantare, ma nel declamare in maniera ritmata un testo. È un tipo di musica che si basa su scherzi e battute con lo scopo di far ridere l’ascoltatore.
L: Per me la musica è quella classica, però un altro genere che mi piace è Bossa nova, è un mix tra jazz americano e samba brasiliana.

Preferite suonare da soli, con un’orchestra oppure in duo o altre associazioni cameristiche?
R: I nostri strumenti sono due mondi completamente diversi. Il pianoforte è uno strumento che si presta al repertorio solista: i pianisti possono usare tutte e dieci le dita per suonare. Il violino è più dipendente da altri strumenti, il suo repertorio solistico non è molto ampio. A me piace molto suonare musica da camera.
L: Forse preferisco suonare da solo per il pianoforte. Con l’orchestra è psicologicamente più facile, ma nella musica da camera se ti trovi bene con i partner è una vera gioia.

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GIORNALISTI IN CLASSE PER ALEXANDRE THARAUD

LA RECENSIONE DELLA SECONDA D LINGUISTICO

Dopo cinque anni il pianista francese Alexandre Tharaud si è nuovamente esibito al Teatro della Pergola, a Firenze, invitato dall’associazione Amici della musica. Grazie al pianista, che si è reso disponibile per il progetto “Artisti in classe-Giornalisti in classe”, noi studenti liceali abbiamo avuto la possibilità di assistere ad un concerto di musica da camera dal vivo e dialogare con l’artista. Per quasi tutti noi era la prima volta in un teatro ad assistere ad un concerto di musica da camera. E che teatro! La Pergola, infatti, è uno dei più antichi d’Italia, costruito nel 1657, tempio della prosa ma anche della musica (nell’Ottocento si rappresentavano famose opere liriche). È un luogo molto suggestivo, che ha sicuramente reso l’atmosfera ancora più coinvolgente.
Tharaud ha offerto un programma di autori francesi di epoche diverse: dal Seicento (Couperin) al Novecento (Debussy, Satie e Ravel). I brani iniziali, di Couperin, ci hanno fatto fare un “tuffo” nella Francia barocca, anche se eseguiti al pianoforte e non al clavicembalo, ma, anzi, a noi è piaciuto molto il timbro più morbido e corposo, che il pianista ha valorizzato. Dal barocco il programma è passato a Debussy, poi a Satie e, infine a Ravel: con semplicità l’atmosfera è passata dal barocco al primo Novecento, con tutte le sfumature di timbro – soprattutto ci ha colpito la capacità del pianista di dosare i pianissimo e i crescendo. E, non ultimo, ci ha molto colpito la trascrizione per pianoforte de “La Valse” di Ravel, brano nato per orchestra e che Tharaud ha trascritto lui stesso e ha restituito in maniera molto bella, non facendo rimpiangere la mancanza dei diversi timbri strumentali originali.
I calorosi e insistenti applausi da parte del pubblico hanno sollecitato Tharaud a fare due bis: un brano di Bach e uno di Edith Piaf.

Giorgia Mugnaini, Alice Ballerini, Melissa Mazzanti, Melissa Casacci, Matilde Giorgetti (2D linguistico dell’IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino)

E QUELLA DELLA 2 I SCIENZE UMANE DEL LICEO AGNOLETTI

L’artista è un solista e ha suonato per noi brani che vanno dal 1600 fino ad inizio del ‘900 comprendenti Couperin, Debussy, Satie, Ravel. Iniziando da Couperin, compositore barocco, i suoi brani sono risultati molto ricchi e sfarzosi, quasi a sottolineare il gusto artistico di quell’ epoca. Debussy invece è risultato alle orecchie particolarmente differente da Couperin e dalle melodie evocative. Infatti Debussy è noto per il suo “impressionismo musicale”. Satie, terzo compositore che Tharaud ha voluto suonare, trasmetteva dei toni più malinconici ed emotivi, a tratti commoventi, come aveva detto Tharaud stesso nel comunicato stampa: “Ho scelto Satie perché è il compositore che più mi commuove. Ha tenuto nascoste molte cose della sua vita e le ha affidate al pianoforte”. Per ultimo è stato suonato Ravel, il più moderno fra tutti, in particolare da un punto di vista musicale.
L’atmosfera era intima ma allo stesso tempo vivida: “Sanno creare con poco un universo gigantesco. Sono due compositori intimi, che sussurrano alla tastiera la loro infelicità” sempre per citare il comunicato e quello che ha detto il pianista riguardo a Ravel e Couperin, ma dopo aver assistito al concerto si può dire lo stesso riguardo anche agli altri compositori che egli ha voluto presentare al pubblico fiorentino.
Nonostante non siamo abituati a questo genere di musica, è fluita gradevolmente col passare dei brani e questo “dolce sottofondo” ci ha permesso di riflettere molto.

Niccolò Bruni, Valentina Guizado, Sara Inzitari – classe 2I Scienze Umane del Liceo “A.M. Enriques Agnoletti” di Sesto Fiorentino

IL NOSTRO PODCAST COME GIORNALISTI PER L’INCLUSIONE

Il nostro lavoro giornalistico è stato anche radiofonico, dato che abbiamo collaborato con il podcast di Radio Aidel 22, una radio web animata da ragazzi con la malattia genetica del cromosoma 22. La classe è diventata anche una redazione radiofonica per la fase preparatoria e alcuni di noi sono stati “operatori per un giorno” che hanno intervistato, il giorno del concerto, alcuni abbonati storici e spettatori, fra cui studenti. Ci ha colpito positivamente il fatto che fra gli abbonati ci siano persone che frequentano gli Amici della Musica da decenni e che siano così competenti. Hanno dichiarato di essere rimasti soddisfatti dal concerto e di aver portato belle emozioni a casa dopo questo pomeriggio a teatro. Intervistare con la videocamera e il microfono ci ha fatto sentire più coinvolti nell’atmosfera del concerto, ci ha portati a essere anche ascoltatori attenti.

Ascoltate il podcast frutto del nostro lavoro! Per ascoltarlo, cliccare qui.

Classe 2 D linguistico dell’IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino

LE RECENSIONI CONTINUANO QUI

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Stagione concertistica 2022/2023

IL CONCERTO DI RAFAŁ BLECHACZ (RECENSIONE)

È stato grazie al progetto “Giornalisti in classe” che noi studenti della 3BL, 4HTUR e 4BL ci siamo recati il 14 gennaio scorso al Teatro della Pergola di Firenze, per assistere al concerto del pianista polacco Rafał Blechacz. Nato nel 1985, è considerato il più grande interprete di Fryderyk Chopin della sua generazione e ha infatti vinto numerosi premi, tra cui il prestigioso concorso “Chopin” a Varsavia.

Appena entrati, i nostri sguardi si sono rivolti subito verso il soffitto e le pareti del grande ingresso. Ci ha accolti un’immensa sala bianca, abbellita con incisioni di figure umane sulle pareti, in stile greco, che portava ad una scalinata perimetrata da colonne in stile corinzio (per rimanere in tema) con il fusto in marmo tendente ad un color ocra, che contrastava con il colore predominante. L’ingresso era pieno di persone e per il tempo che abbiamo aspettato, prima di entrare nella sala dove si sarebbe tenuto il concerto, ci siamo divertiti a osservare attentamente le differenze tra una generazione e l’altra che si mescolavano nell’ambiente. I ragazzi della nostra età, di circa diciassette anni, erano soprattutto vestiti in maniera casual, quasi sportiva, con pantaloni della tuta e felpa. Le signore, invece, sfoggiavano pellicce vistose e calzavano tacchi estremamente “lucenti”. Due visioni diverse su come presentarsi a teatro. Dopo una ventina di minuti ci hanno permesso di entrare in sala, e ci siamo accomodati nei nostri posti di platea.

Anche la sala si presentava molto bene, con l’architettura tipica del teatro all’italiana.

Finalmente il concerto. L’esibizione del pianista Blechacz è stata tecnicamente eccezionale. La sua abilità è stata evidente nell’esecuzione precisa dei brani di Chopin, Debussy, Mozart e Szymanowski, nei quali ha mostrato notevole destrezza, con una particolare attenzione alla dinamica e alla varietà dei suoni. L’ interpretazione dei pezzi di Chopin, in particolare, è stata magnifica per la delicatezza e la profondità emotiva che è riuscito a trasmettere. La capacità di catturare l’essenza delle opere di Debussy e di rendere vive le melodie di Mozart è stata sorprendente. La performance di Szymanowski ha mostrato la sua abilità e il suo talento innato. In generale, la tecnica al piano di Blechacz è stata impeccabile e il controllo dei suoni ha reso l’esibizione un’esperienza decisamente notevole. È stato positivo anche il riscontro del pubblico, che ha apprezzato con molto entusiasmo e portato il compositore a fare il bis. In conclusione si può affermare che il pianista Blechacz è sicuramente uno dei migliori nel suo campo, capace anche di trasportare un po’ di Polonia, suo paese natale, nelle sue esibizioni con il pianoforte.

Immedesimandosi completamente nel pezzo che sta eseguendo, trasmette emozioni grazie alla sua espressività, sia nei movimenti che nel suonare il pianoforte. Questa è sicuramente un’esperienza che non può che risultare positiva, visto l’insieme delle numerose abilità di questo artista che ha reso il concerto piacevole per adulti e per ragazzi.

Dopo il concerto siamo andati alla Biblioteca delle Oblate dove abbiamo intervistato il pianista.

Recensione di Antonio Avadanei, Matilde Degli Esposti, Tiziano Santoro, Anisa Steaj, Yasmine Miftah (III B linguistico e IV H Turistico IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino)

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INTERVISTA A RAFAŁ BLECHACZ

Sabato 14 gennaio, dopo aver assistito al concerto del pianista polacco RAFAŁ BLECHACZ, al Teatro della Pergola di Firenze, abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo nella Sala “Dino Campana” della Biblioteca delle Oblate, a due passi dal teatro. La conversazione si è svolta in lingua inglese, ma riportiamo l’intervista in traduzione.

In base a cosa ha scelto i brani da suonare per il concerto di questo pomeriggio?

Credo sia naturale che fosse importante per me voler suonare Chopin, perché ho registrato da poco un album di sue composizioni, che sarà pubblicato il prossimo mese. Ma per quanto riguarda la seconda parte ci tenevo a mostrare legami tra Chopin e altri artisti, per esempio Debussy. Per quanto riguarda Szymanowski, volevo suonare alcuni brani tipici polacchi che sono stati una grande ispirazione sia per me che per Chopin. Inoltre penso che ci sia un bel contrasto tra l’espressionismo di Szymanowski e l’impressionismo di Debussy. Per finire Chopin amava Mozart, quindi ho voluto suonare anche alcune sue opere.

Perché ha cominciato questa carriera?

La mia carriera internazionale è iniziata dopo la mia vittoria al Concorso “Chopin” nel 2005, ma prima ho partecipato ad alcune competizioni internazionali minori, come per esempio Hamamatsu in Giappone nel 2003, due anni prima dello Chopin. È stata un’esperienza molto importante per me, perché, grazie a quest’ultima, ho capito come pensare e come affrontare la prassi esecutiva chopiniana durante tutte le grandi competizioni, come il Concorso “Chopin”.

In base a cosa ha scelto di suonare la Polonaise op. 53, “Eroica”?

Ho iniziato a preparare questo pezzo circa due anni prima del concorso Chopin a Varsavia, quindi nel 2003. L’ho apprezzato fin da subito e per questo ho scelto di suonarla, oltre che al concorso, anche oggi.

Come si è preparato per il concorso Chopin?

Sicuramente per suonare al meglio ho dovuto fare più concerti possibili, relazionarmi col pubblico e suonare in modo naturale, ovviamente ho suonato e studiato tutti i giorni, anche concedendomi del tempo per pensare a come sviluppare l’interpretazione e mantenere lo stile unico di Chopin.

Ha mai suonato le Ballate? Se sì, quali?

Non ho mai registrato le Ballate, ma ho suonato la prima, la seconda e la terza durante i miei concerti passati.  Forse ritornerò a studiare le Ballate, ma senza registrarle.

Se tornasse indietro, farebbe di nuovo questo lavoro?

Penso di sì, è abbastanza difficile pensare a cosa avrei potuto fare oltre a questo, la musica è la mia vita.

Lei ha anche una laurea in filosofia: che cosa l’ha portata a conseguirla? C’è una correlazione con la sua carriera di musicista?

Sì, penso che ci sia una correlazione, in particolare con alcuni aspetti. Per esempio, mi stavo concentrando sulla fenomenologia, si tratta di una filosofia tedesca e ho letto dei libri scritti da Edmund Husserl, un filosofo tedesco che ha scritto un libro riguardante l’identità del mondo musicale e il contesto della sua interpretazione. Fu molto importante per me, fu veramente ispirante perché, per esempio, adesso sono molto più consapevole del fatto estetico, un’esperienza concettuale. Anche nella metafisica ci sono dei pezzi come le Polonaises, le Fantasie o la musica di Bach, parlare dei quali è molto difficile, ma parlarne attraverso i suoni rende tutto più facile.

Ha mai sentito la pressione dei suoi genitori?

I miei genitori non sono musicisti professionisti, quindi non ho avuto nessuna pressione.

Che genere musicale ascolta di solito?

Lo stesso che suono, quindi musica classica, ma mi piacciono anche generi di musica differenti, come ad esempio il jazz. A volte, quando sono in macchina, ascolto anche i tipici canali radio.

Come si sente prima di un concerto? Come la prima volta o adesso si è abituato?

Sono un po’ emozionato prima dei concerti e credo che sia una cosa bella, perché se non ci fossero emozioni prima del concerto, credo bisognerebbe preoccuparsi. Mi sento anche gioioso… specialmente dopo la pandemia.

All’inizio dei suoi studi, ha sperimentato altri strumenti? Se sì, quali?

Ho iniziato la mia educazione musicale con l’organo, infatti volevo diventare un organista. Poi, iniziando a suonare il pianoforte, ho capito che quello era lo strumento giusto per me. Ma, nel tempo libero, suono ancora l’organo nelle chiese.

Quando ha realizzato che questo sarebbe potuto diventare il suo lavoro?

Non c’è stato un momento preciso: è stato un processo naturale, ho sempre voluto diventare un musicista, condividendo la mia musica con gli altri.

Qual è il consiglio che darebbe a qualcuno che deve esibirsi davanti al pubblico?

Ogni artista è diverso, ha differenti personalità e diversi approcci con la musica, quindi il mio consiglio è quello di seguire sempre e solo il proprio istinto e il proprio cuore.

Qual è la cosa che le piace di più del suo lavoro?

Sicuramente condividere la musica con le altre persone, e questo è stato molto difficile durante la pandemia: ero nel mio studio solo col mio pianoforte. Difficilmente si riesce a comunicare in questo modo.

Intervista a cura degli studenti dell’IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino: Buchetti, Cattari, Esposito, Metelli, Metti, Romagnoli, Tacchini, Timinti, Traversi (3B linguistico); Milione, Magri, Calvanese, Andreuccetti, Ulivelli, Mengozzi, Nerelyn Sumadic, Marrocchi (4H turistico); Chiti, Lucrezia (4B linguistico).

Docenti: David Mugnai e Marco Manzuoli

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Tanti TWEET dopo-concerto

Il concerto di Rafał Blechacz al Teatro della Pergola del 14 gennaio, al quale abbiamo partecipato, è stato per molti un “battesimo”, dato che la maggior parte delle classi non aveva mai assistito a un concerto di musica classica all’interno di questo bellissimo teatro.

L’atmosfera creata ha reso questa esperienza molto piacevole, interessante e coinvolgente, infatti il pianista ha catturato l’attenzione del pubblico, suscitando intense emozioni.

Dopo aver assistito al concerto ci siamo recati alla Biblioteca delle Oblate, precisamente nella sala “Dino Campana”, dove abbiamo intervistato il pianista.

Purtroppo non tutti sono riusciti a fargli qualche domanda, ma è stato comunque bello vedere come fosse disponibile l’artista nei nostri confronti.

Dal momento che molti di noi non avevano mai assistito a un concerto di musica classica, le sensazioni che abbiamo provato sono state molteplici: Giulia Cusenza e Melissa Pacini sono rimaste affascinate dalla passione che il pianista metteva nel suonare e si sono divertite molto, Dalila Fornari afferma che nonostante sia stata una giornata diversa dalle attività che fa di solito con i coetanei, si è divertita molto; a Dalia Grassi e Ahlam Mohajir piacerebbe riprovare quest’esperienza. Elisa Leoni è rimasta impressionata dal talento di Rafał Blechacz, e anche Martina La Rosa e Rosalba Di Lillo concordano dicendo che è stata un’esperienza unica e memorabile che rimarrà loro impressa.

A Marco Nardi è piaciuto molto questo concerto, ha apprezzato i brani proposti dal musicista. Anche Lapo Tortelli e Marco Ciatta affermano che il suo repertorio ha lasciato il pubblico incantato, in particolare la sua esecuzione della Polonaise-Fantasie in la bemolle maggiore op. 61 e l’interpretazione del “Rondò alla Turca” (una delle opere più famose di Mozart), che sono state intense e commoventi. Daniele Lazzerini sostiene addirittura che il pianista sia in grado di far piacere la musica classica anche a quelli a cui non piace; Lili Zhou, che solitamente non è un’amante della musica classica, è entrata in empatia con i brani proposti dal pianista, riuscendo così ad apprezzarli.

Juri Lucidi e Mbengue Moussa sono rimasti colpiti dall’esperienza di essere in un teatro, hanno imparato l’importanza del silenzio durante un’esecuzione.

Secondo Emma Faustini e Ajsela Gjeta il progetto al quale la scuola ha aderito è stato coinvolgente e formativo grazie all’incontro con il pianista.

Tratto dai tweet di studenti della terza B linguistico, quarta B linguistico e quarta H turistico dell’IISS “Calamandrei” di Sesto Fiorentino

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GIOVANI DI OGGI COME QUELLI DI IERI: LA MUSICA CONTEMPORANEA FA ANCORA DISCUTERE

di Donatella Righini

Autore contemporaneo che ascolti, reazione diversa che provi. Il Progetto “Artisti in classe – Giornalisti in classe” ha avuto il suo battesimo con il concerto di musiche di Silvia Colasanti, che ha avuto una ricaduta ottima e totalmente positiva. Il secondo dei concerti degli Amici della Musica dedicato a composizioni di autore vivente ha suscitato invece, negli studenti del Marco Polo, delle due terze del linguistico, reazioni diverse ma molto interessanti, discusse anche con l’autore stesso, Alessandro Solbiati, che li ha incontrati il 5 dicembre scorso, all’indomani del concerto di musiche sue, dedicate a Pier Paolo Pasolini. Il concerto era denominato come Lettura di testi poetici di Pier Paolo Pasolini in forma di spettacolo per voce recitante, soprano e pianoforte, dato che, infatti, ha visto coinvolto l’attore Fabio Zulli, che interpretava Pasolini muovendosi tra il pubblico recitandone i versi, che cominciavano dal racconto pasoliniano di sé attraverso il concetto di anima, luogo di attesa per chi ci porta alla vita, spunto, quest’ultima, per parlare di chi la vita a lui l’ha data, la madre. Ma anche per parlare delle sofferenze che la vita gli ha procurato, facendogli desiderare la morte. I versi sono stati accompagnati dal suono del pianoforte, nell’interpretazione di Maria Grazia Bellocchio e anche della voce cantante, Laura Catrani. Ebbene, in occasione dell’incontro e attraverso un questionario che le docenti di lettere dei ragazzi hanno loro somministrato, sono emerse reazioni che potrebbero essere quelle del pubblico adulto, solo che i ragazzi, forse, hanno espresso più sinceramente le loro opinioni. L’attore è stato il protagonista più apprezzato, definito “bravo e interessante”, “coinvolgente”, “aveva una voce profonda” ma, soprattutto, colpisce che abbiano detto di lui: “penso che il concerto perderebbe il suo sapore senza di lui, diventerebbe monotono”. Come mai? Ebbene, i ragazzi ne hanno discusso a lungo con Solbiati, perché secondo loro la sua musica e – per estensione – la musica contemporanea, non li coinvolge. Lui li ha provocati chiedendo cosa sono abituati ad ascoltare, quanta frequentazione hanno con la musica classica: hanno detto che la classica l’hanno sentita un po’ a scuola, ma preferiscono i concerti rock, pop, rap, a cui vanno abitualmente e durante i quali possono ballare, muoversi, cantare. Certo ci sono delle eccezioni: alcuni di loro suonano uno strumento, qualcuno canta, ma nei confronti della musica contemporanea sono stati poco persuasi. Solbiati ha raccontato loro di aver cominciato a provare interesse per questa musica quando fece un cluster sulla tastiera elettronica che aveva da ragazzo: dall’insieme di note poi si dipanano i suoni. Ha praticamente scelto il suo stile in questo modo, arricchendolo via via delle sperimentazioni che negli anni Settanta si facevano, sia sugli strumenti sia sulla voce, cercando di far suonare qualsiasi parte, ad esempio percuotendo le corde del pianoforte con oggetti vari, oppure appoggiando alcuni oggetti sulle corde e poi suonando i tasti in modo da produrre suoni/rumori (il cosiddetto “pianoforte preparato”). Non li ha però dissuasi: per la maggior parte di loro è musica “difficile”.

Tornando al questionario, alla domanda “Che emozioni ti ha trasmesso questa esperienza?” le risposte si allineano sul “Non l’ho capita e quindi poche emozioni” a “Mi sono annoiat* perché le parti di pianoforte erano davvero lunghe ma a tratti mi hanno catturato l’attenzione”, a “È stata un’esperienza diversa dal solito, abbastanza piacevole”, “È stato interessante scoprire questo nuovo tipo di musica”, “Non mi ha appassionato particolarmente”. Da segnalare “Questo concerto mi ha provocato emozioni contrastanti. Quando il piano era suonato da solo le note mi sembravano non combaciare tra di loro e non capivo dove volesse andare a parare la pianista. Quando però il piano era utilizzato per accompagnare la cantante, tra l’altro bravissima, allora le note sembravano abbracciarsi tra di loro e davano vita ad una melodia piuttosto orecchiabile. Non dico che mi abbia fatto impazzire, però credo che non sia stata neanche una brutta esperienza. È stato interessante entrare in contatto con questo tipo di musica e scoprirne le particolarità. Non ho capito a pieno quello che ho visto domenica sera, ma ho vissuto piuttosto bene il concerto”. E anche, “Ho attraversato infinite fasi, e provato altrettante emozioni: dalla confusione, all’amarezza, alla tristezza… ma ci sono stati anche momenti di stupore, di tranquillità e di trasporto. Momenti intensi, di curiosità o di tensione per esempio”. Ma interessante anche “È scioccante, solo che è diverso dai concerti di musica classica normali o come mi immaginavo, il che mi rende un po’ persa”. Come non ricordare gli anni Settanta e Ottanta, quando le sperimentazioni suscitavano tutto questo, magari però non veniva esternato con questa chiarezza? Solbiati è rimasto fedele a quell’epoca, a quei linguaggi e continua a suscitare, giocoforza, reazioni contrastanti. La sua cifra stilistica è questa. E se anche i giovani non sono stati catturati dalla musica contemporanea attraverso Solbiati, hanno saputo apprezzare la bravura delle esecutrici, sia la pianista Bellocchio sia la soprano Catrani. Eccone la prova, nelle risposte alla domanda delle docenti “Cosa ne pensi dei musicisti?”: a parte qualche manifestazione selettiva come “Ottima performance, ma non ho gradito il canto lirico”, che è comunque un apprezzamento alle esecutrici, prevale la linea “La pianista era molto coinvolta, era così sicura di quello che suonava da attirare completamente la mia attenzione e portarmi ad un profondo ascolto”; “Erano palesemente tutt’uno con la musica, la pianista con lo strumento, e ciò era molto evidente. Ammiro la loro insaziabile passione per quello che fanno, che li spinge a dare tutte se stesse andando oltre a qualunque eventuale ostacolo senza mai esitare. Tutto ciò mi ha fatta sentire “al sicuro” seppur la musica che stessero suonando, completamente nuova alle mie orecchie, mi facesse sentire terribilmente spaesata”.

Chiudiamo con una simpatica opinione sulle musiciste, che indirettamente riguarda anche Solbiati: “Mi sono piaciute entrambe, in particolare la pianista, e i brani che suonava sembravano di un film horror”.

Le classi coinvolte nell’incontro con Alessandro Solbiati sono state la 3°M e la 3°E dell’ITT “Marco Polo” di Firenze. Docenti: Laura Croce e Annaclaudia Franci

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INTERVISTA A SILVIA COLASANTI

(a cura della classe 5°F dell’ITT “Marco Polo” di Firenze – docente: Luca Perlini)

Domenica 16 ottobre noi alunni della classe 5°F dell’ITT “Marco Polo” di Firenze abbiamo avuto il piacere di assistere, nell’ambito del progetto “Artisti in classe”, alla prima serata del ciclo “Ritratti”, organizzata dall’Associazione Amici della Musica al Saloncino della Pergola e dedicata alla compositrice Silvia Colasanti. Durante il concerto abbiamo ascoltato tre brani scelti da lei: il primo di Claude Debussy, “Prélude à l’après-midi d’un faune”, il secondo di Claudio Monteverdi, “Ah, dolente partita!”, e il terzo, “Arianna e il Minotauro”, un melologo della stessa Colasanti per voce recitante, soprano ed ensemble.

La mattina successiva abbiamo potuto intervistare Silvia Colasanti, che si è collegata con noi su Google Meet. Ne abbiamo approfittato per chiederle alcune cose sul concerto della sera precedente, ma anche su di lei, sulla sua carriera e sul modo in cui interpreta il ruolo di musicista e compositrice.

PERCHÉ IN “ARIANNA E IL MINOTAURO” HA SCELTO DI ADOTTARE IL PUNTO DI VISTA DEL MINOTAURO?

Quest’opera mette in musica un testo di Dürrenmatt che fa proprio questo: riprende il mito dal punto di vista del Minotauro. Il Minotauro, dipinto sempre come mostro, in realtà è un essere fragile, un essere confuso, non consapevole, e in questo tipo di logica e di visione il Minotauro mostra, sì, le proprie ombre, ma mostrandole e prendendone consapevolezza ne esce come una figura molto più umana, sfaccettata e vera degli stessi uomini, che invece usano l’inganno per liberarsi di quello che considerano un mostro.

Nel mito del Minotauro o, in generale, negli altri miti su cui ho lavorato, mi interessa proprio mettere a nudo le fragilità e le ombre: io lavoro molto su questo, è qualcosa che mi permette, attraverso la musica, di lavorare sull’uomo. Alla fine, il concetto di mostruosità riguarda un po’ tutti noi.

RIGUARDO AL PROGRAMMA DI IERI SERA, PERCHÉ HA INSERITO UN BRANO DI MONTEVERDI E UNO DI DEBUSSY?

Credo che indagare il proprio passato, in un’epoca come la nostra, sia fondamentale, perché scrivere musica oggi non può prescindere dal carico e dal peso che la tradizione ci ha lasciato. Riguardo la scelta specifica di Monteverdi e Debussy, quest’ultimo è quello che ha aperto a tutto ciò che è stato il Novecento musicale, ha fatto da grande passaggio verso le avanguardie venute dopo. Monteverdi, invece, l’ho scelto perché per me è molto significativo: dato che io lavoro con il teatro musicale, credo che la lezione di Monteverdi resti una lezione imprescindibile in ciò che è il rapporto tra musica e parole. Secondo Monteverdi la musica deve sempre essere al servizio della verità drammaturgica del testo, e questa rimane, ancora oggi, una lezione fondamentale.

QUALI GENERI MUSICALI ASCOLTA?

Io ascolto musica classica, non per prevenzione verso gli altri generi ma perché mi sembra di avere ancora molte cose nella classica, e nella musica operistica, da ascoltare o da approfondire. Inoltre mi piace molto la musica dal vivo, e credo che lo streaming e la musica riprodotta non abbiano lo stesso valore e non riescano a far “riprovare” i sentimenti provati dal vivo.

QUAL È IL SUO RAPPORTO CON IL PUBBLICO E COME VORREBBE CHE IL PUBBLICO RECEPISSE LE SUE COMPOSIZIONI?

Per me scrivere musica è una forma di comunicazione. Quando scrivo tengo sempre a mente il destinatario. Mi metto nei panni del pubblico perché sono anche io “pubblico” di altri compositori e quando un compositore mi parla, mi fa scoprire in qualche modo qualcosa di me, mi tocca personalmente. Io non mi aspetto che il pubblico si rispecchi in me stessa ma che, piuttosto, trovi nella mia opera qualcosa che lo riguarda. L’importante è che arrivi qualcosa che ci permetta di conoscerci meglio, è questo secondo me ciò che dovrebbe fare l’arte.

FRA LE SUE COMPOSIZIONI, QUALE LE STA PIÙ A CUORE?

Un lavoro a cui sono ancora molto legata è “La Metamorfosi”, perché è stata un’esperienza di teatro musicale molto alta. Sono passati ormai 15 anni, però quel lavoro mi sta ancora a cuore.

QUAL È IL SUO STRUMENTO PREFERITO? SE C’È, QUAL È LO STRUMENTO CHE LE PIACE MENO?

Come avrete capito dal concerto di ieri, amo molto le percussioni. Ho inoltre una predilezione per gli archi: non ho potuto inserire altre cose nel programma del concerto che avete visto ieri, ma se avessi potuto farlo avrei messo qualcosa per archi della Vienna di inizio Novecento: quel fermento, quella malinconia, quel senso di decadenza, io li sento ancora molto vicini. Uno strumento che invece non amo è la chitarra: ho voluto scrivere un pezzo per chitarra e ci ho messo un sacco di tempo. Ho molta difficoltà con la chitarra perché avendo un suono così contenuto non mi permette di scrivere con quei contrasti che invece costituiscono una parte fondamentale della mia musica.

COME HA AFFRONTATO GLI EVENTUALI “BLOCCHI DEL MUSICISTA”? COME NE È USCITA? HA MAI PENSATO DI CAMBIARE MESTIERE? 

Cambiare mestiere no! Però sicuramente ci sono momenti in cui uno sente esaurite certe zone d’indagine e si trova un po’ spaesato, momenti in cui ricominciare a comporre sembra molto faticoso. In quei casi cerco sempre stimoli alti, sia nell’ascolto di nuove musiche, sia nella lettura. Per esempio, io sono molto legata alla poesia e in generale alla letteratura. Mi fermo un attimo, cerco di non fare l’errore di ripetere quello che ho già fatto fino a quel momento e lavoro su me stessa attraverso degli stimoli nuovi che mi possono far tornare a comporre in modo diverso.